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SLA e demenza frontotemporale: primo passo test diagnosi precoce

SISSA: da team italiano tecnica per rilevare proteina TDP-43

Un test per diagnosticare due gravissime malattie come la SLA e la demenza frontotemporale quando le patologie non sono ancora apparse, fornendo così a medici e pazienti strumenti informativi essenziali per affrontarle precocemente e sviluppare nuove terapie. È un primo promettente passo in questa direzione quello compiuto da un’equipe di ricerca della SISSA in collaborazione con diverse realtà cliniche e di ricerca italiane.Protagonista dello studio, pubblicato sulla rivista “Brain Communications”, è la proteina TDP-43 che si accumula nelle cellule del cervello nel 97% dei casi di SLA e nel 45% circa di quelli con demenza frontotemporale. Questa proteina – spiega Sissa – è quindi un possibile biomarker delle patologie. Nel loro lavoro, gli scienziati hanno sviluppato una tecnica capace di rilevare la TDP-43 anche quando si trova presente nell’organismo in piccolissime quantità e nelle fasi più precoci di malattia, potenzialmente in individui ancora asintomatici. Dal momento che non esistono oggi trattamenti che possano interferire con il decorso delle due malattie, spiegano i ricercatori, un’identificazione molto precoce fatta grazie alla presenza di questa proteina potrebbe essere di grande aiuto per la messa a punto di farmaci utili ad arrestarne la progressione e capirne le dinamiche.“Molte malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson, e le malattie causate da prioni, si caratterizzano per l’accumulo incontrollato di specifiche proteine nelle cellule nervose” spiegano Carlo Scialò e Giuseppe Legname della SISSA, rispettivamente primo e ultimo autore della pubblicazione. “Un test chiamato RT-QuIC (Real Time Quaking Induced Conversion reaction) era già stato sviluppato per identificare precocemente le proteine coinvolte in diverse di queste malattie. Noi abbiamo pensato di utilizzarlo per la prima volta per due altre patologie, SLA e demenza frontotemporale, dove la proteina che si accumula è la stessa: TDP-43”.Identificarla nelle fasi precoci di malattia significa però che le forme patologiche di questa proteina sono eventualmente presenti in piccolissime quantità. Come fare a rilevarle? “Il senso di questa tecnologia è proprio questo: si catturano minime quantità della proteina patologica, o frammenti della stessa, e si fanno moltiplicare in moltissime copie identiche, fino ad ottenerne una quantità sufficiente a essere rilevata dalle strumentazioni. La presenza di queste forme patologiche della proteina rappresenta un indicatore del suo accumulo nel sistema nervoso centrale”.La ricerca ha messo insieme oltre alla SISSA, il San Martino di Genova, l’Università di Torino, il Carlo Besta di Milano, l’Istituto Auxologico Italiano, l’Università di Milano, l’Università di Brescia e l’Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia e tre altre realtà triestine: l’Università di Trieste, Elettra Sincrotrone e l’ICGEB. “Con tutti questi istituti abbiamo collaborato a diversi livelli” spiegano Scialò e Legname. “Molti di essi sono stati fondamentali per il reclutamento dei pazienti che sono stati coinvolti nella ricerca”. A tutti è stato prelevato un campione di liquido cerebrospinale, la sostanza che circonda il sistema nervoso centrale e in cui, hanno dedotto i ricercatori, è verosimile pensare di ritrovare la proteina TDP-43, anche se in piccole quantità. Su questi campioni è stato poi eseguito il test per individuare la proteina. “I pazienti coinvolti erano tutti portatori di una particolare mutazione genetica che sappiamo portare all’accumulo della proteina TDP-43 nel cervello. Con il nostro sistema, siamo riusciti a individuarla nel 94% di loro, che è un ottimo risultato”.“In questa fase – concludono i ricercatori – abbiamo messo a punto il test e verificato che funziona bene nell’individuare TDP-43. Ora saranno necessari ulteriori step per mettere a punto la metodica e il protocollo, per esempio ampliando il numero di pazienti su cui effettuare l’analisi. In questo primo test ne sono stati coinvolti ‘solo’ 36, ma siamo ancora in una fase iniziale. Bisognerà inoltre capire in quanti casi l’individuazione della proteina in fase precoce porti effettivamente allo sviluppo della malattia. Saranno quindi necessarie ulteriori indagini prima che questo test possa essere utilizzato in modo sicuro ed affidabile a fini diagnostici sperimentali, ad esempio per l’arruolamento di soggetti in trials clinici”. Ma i primi risultati ottenuti, assicurano, sono davvero incoraggianti.

Fonte: askanews.it

Forneris, INF-ACT – “In tre anni si è creata una fitta rete scientifica multidisciplinare

Si è concluso, oggi, l’INF-ACT annual meeting 2025 che ha riunito le principali voci della ricerca italiana dedicate al contrasto delle malattie infettive emergenti. Più di 400 ricercatori, informa una nota, provenienti da 70 istituzioni tra università, enti di ricerca, IRCCS, piccole e medie imprese si sono trovati a Roma per delineare la strada verso la costruzione di un sistema sanitario d’avanguardia.

Federico Forneris, presidente Fondazione INF-ACT – “La sfida intrapresa tre anni fa era particolarmente complessa: creare una rete scientifica multidisciplinare dedicata alle malattie infettive che si muovesse in modo coordinato. Oggi stiamo vedendo concretizzarsi i risultati attesi, sia nei numeri che nel clima collaborativo che ha caratterizzato il meeting. La ricerca scientifica, per essere efficace, necessita di connessioni trasversali e multidisciplinari che permettano di esprimere tutto il potenziale. La creazione dell’hub di INF-ACT ha offerto un riferimento per i tanti gruppi che studiano le malattie infettive da punti di partenza complementari, che prima mancavano di una cornice unitaria. In questi giorni, anzi in questi tre anni, si è confermata l’importanza di offrire un punto di raccordo e abbiamo constatato le enormi potenzialità di sviluppo che si possono avere collaborando in rete.”

Il ricco programma di questi 4 giorni di meeting, a cui hanno partecipato oltre 400 ricercatori, vedeva la presentazione di 2 letture magistrali, la prima svolta da Peter Reiss, Professore emerito di Medicina presso l’Amsterdam UMC e Senior Fellow presso l’Amsterdam Institute for Global Health and Development e la seconda dalla Professoressa di virologia Jacomina Krijnse Locker del Paul-Ehrlich-Institut.

Il programma scientifico è proseguito con il susseguirsi di oltre 40 presentazioni orali e l’esposizione di più di 200 poster scientifici che hanno mostrato le più avanzate e interessanti risultanze su virus emergenti, sul controllo di zecche e zanzare quali vettori di patogeni, sulle strategie di monitoraggio e nella costruzione di modelli matematici e sullo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Un particolare focus è stato dedicato al fenomeno della resistenza agli antibiotici, vista la contestualità con la settimana mondiale sull’uso consapevole degli antibiotici e della resistenza antimicrobica, con la gradita partecipazione del Ministro Orazio Schillaci. L’approfondimento ha visto il diretto coinvolgimento dell’Istituto Superiore di Sanità che ha presentato i dati nazionali della resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza.

Altrettanto apprezzato è stato l’intervento di Fabrizio Cobis, dirigente del Ministero dell’Università e della Ricerca, responsabile dell’investimento PNRR Missione 4 Componente 2.

Science Communicator Award Prima della chiusura del meeting c’è stata l’assegnazione dello Science Communicator Award “Prof. Carlo De Bac”, un premio dedicato alla memoria del professore emerito di Malattie infettive della Sapienza, recentemente scomparso. Il paper vincitore si è distinto tra oltre 200 paper esposti perché ha affrontato “un tema quanto mai attuale coniugando, fin dal titolo, il rigore scientifico della ricerca con una chiarezza nell’esposizione che ne fanno un perfetto oggetto di divulgazione.”

“Who’s buzzing around? Distribution and incidence of culex pipiens forms in southern Tuscany” Culex pipiens s. str. è una specie vettore chiave coinvolta nella trasmissione di malattie zoonotiche ed è stata associata alla comparsa del West Nile virus in Europa negli ultimi decenni. Questa specie comprende due forme, Culex pipiens pipiens e C. pipiens molestus, che secondo quanto riportato presentano comportamenti ecologici distinti. C. p. pipiens si nutre principalmente di uccelli e si trova soprattutto in habitat periurbani e rurali, mentre C. p. molestus tende a nutrirsi di esseri umani, tollera i siti di riproduzione sotterranei ed è ben adattato agli ambienti altamente urbanizzati.

Nonostante queste differenze, le due forme possono ibridarsi, creando complessi modelli di interazione che possono influenzare la trasmissione di agenti patogeni.


Fonte: askanews.it

L’incontro il 28 novembre promosso da Luciano Ciocchetti

“L’incontro del 28 novembre dal titolo ‘One Planet, One Health’ rientra tra le finalità proprie dell’Intergruppo Parlamentare One Health che è quello di organizzare audizioni, conferenze e dibattiti pubblici con l’obiettivo di studiare provvedimenti che facilitino l’introduzione di un modello di governance capace di superare l’attuale approccio frammentario in materia di tutela della salute ambientale, umana e animale”.

Siamo convinti che l’approccio One Health, nato per portare avanti una strategia olistica, sia da considerarsi sempre più rilevante per affrontare le complesse questioni che riguardano la salute globale e per cercare di affrontare le sfide del nostro tempo (salute, sicurezza alimentare, impatto del cambiamento climatico sulla sanità) con un approccio integrato e unificante.
Nell’incontro del 28 novembre avremo quattro tavole rotonde dove verranno affrontati argomenti centrali del paradigma One Health con approfondimenti sia in termini legislativi, socioeconomici e culturali che in termini scientifici e tecnologici.

La prima tavola rotonda avrà per titolo ‘La pandemia silente: l’antimicrobico resistenza come sfida globale’, la seconda ‘Prevenire il Diabete affrontando l’obesità: dagli stili di vita ai nuovi LEA’, la terza ‘La sfida della sostenibilità’ e l’ultima sarà su ‘Ambiente e Salute’.

Ci saranno autorevoli esponenti della comunità scientifica, delle istituzioni e della società civile che credono fermamente in questo modello integrato. Ricordo che come Intergruppo abbiamo costituito un comitato tecnico scientifico di altissimo livello che ha fatto, ad esempio, un lavoro importante sull’antimicrobico resistenza, cioè sull’abuso eccessivo degli antibiotici.

Applicato al mondo della ricerca, il concetto di One Health mette al centro l’interoperabilità dei dati e la collaborazione interdisciplinare, la strada più efficace per abbattere tutte quelle barriere che rischiano di rallentare soluzioni delle quali si sente l’urgenza assoluta”.


Fonte: askanews.it

Aumentano i costi sanitari, ruolo cruciale della prevenzione alimentare

Negli ultimi vent’anni l’incidenza del diabete in Italia è cresciuta del 65%: si è passati dal 4% di cittadini affetti da questa patologia nel 2003 al 6,6% nel 2022. È quanto ricorda la Fondazione Aletheia, in occasione della Giornata Mondiale del Diabete, indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il 14 novembre, un’occasione per riflettere sul tema e richiamare la giusta attenzione sull’impatto crescente della malattia e sulla necessità di rafforzare gli interventi di prevenzione.

Il fenomeno non riguarda solo il nostro Paese. In Europa, infatti, la spesa sanitaria diretta legata al diabete nella popolazione adulta ammonta a 167,5 miliardi di euro, superando i costi annui sostenuti per le malattie cardiovascolari (111 miliardi) e per il cancro (97 miliardi). Un peso economico rilevante, che si affianca alle ricadute cliniche e sociali della malattia.

Il legame tra diabete e patologie cardiovascolari è noto: iperglicemia e resistenza insulinica, se protratte nel tempo, possono infatti danneggiare i vasi sanguigni e favorire lo sviluppo di aterosclerosi e complicanze cardiache. Nonostante negli ultimi anni si sia registrato un calo dei decessi per malattie del sistema circolatorio, queste rimangono ancora oggi la principale causa di morte in Italia, rappresentando il 31% dei decessi nazionali nel 2021.

“L’alimentazione riveste un ruolo centrale sia nella prevenzione che nel controllo della malattia. Una dieta equilibrata e ricca di fibre alimentari contribuisce a ridurre il rischio di insorgenza del diabete – sostiene Esmeralda Capristo, Professoressa in scienze tecniche dietetiche applicate – Università cattolica del S. Cuore, Roma e componente del Comitato scientifico di Aletheia – Le fibre rallentano, infatti, l’assorbimento dei carboidrati e favoriscono la produzione, da parte della microflora intestinale, di acidi grassi a corta catena, sostanze con dimostrati effetti antinfiammatori e benefici sul sistema immunitario. Le evidenze scientifiche confermano come scelte alimentari adeguate possano incidere significativamente non solo sul rischio di diabete, ma anche sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari ad esso correlate”.

Per Aletheia, quindi, la Giornata Mondiale del Diabete rappresenta dunque un’occasione per riaffermare l’importanza di una cultura della prevenzione, basata su corretti stili di vita, attività fisica regolare e consapevolezza alimentare. Intervenire sui fattori modificabili è uno degli strumenti più efficaci per ridurre la diffusione di una patologia che oggi incide profondamente sulla salute dei cittadini e sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.


Fonte: askanews.it