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In risposta a elevati livelli di ansia e depressione e di stress.
Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università di Losanna e la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, rivela l’aumento di disturbi da fame emotiva e alimentazione incontrollata durante il primo lockdown del 2020.

Pubblicato nella rivista “Appetite”, lo studio analizza gli indici di fame emotiva, ovvero la tendenza a mangiare quando si è in preda allo stress o a emozioni negative come la tristezza, e la frequenza alle abbuffate compulsive, caratterizzate da episodi in cui si assumono grandi quantità di cibo in un tempo relativamente breve con la sensazione di perdere il controllo su cosa e quanto si stia mangiando.

A differenza di altre ricerche, il presente studio – precisa Unipd – non prende in considerazione solo la Fase 1 del lockdown, ossia quella più restrittiva, ma anche la Fase 2, quando le misure hanno subìto un allentamento. “Abbiamo raccolto questi dati durante la seconda fase del lockdown, dal 14 al 19 maggio 2020, – spiega la dott.ssa Cinzia Cecchetto dell’Università di Padova, prima autrice dello studio – chiedendo ai nostri partecipanti di rispondere alle stesse domande facendo riferimento sia alla ‘fase uno’ di lockdown completo, sia alla ‘fase due’, quando alcune restrizioni sono venute meno. I partecipanti, 365 persone tra i 18 e i 74 anni provenienti da tutta Italia, hanno anche risposto a domande relative alla loro abitazione, al rapporto che avevano con le persone con cui vivevano e a come è cambiato il loro lavoro durante la quarantena”.

Per studiare l’impatto dell’isolamento sulle abitudini alimentari della popolazione italiana, è stato effettuato un sondaggio online per investigare lo stato fisico, psicologico, emotivo e sociale dei partecipanti. “Abbiamo osservato che un elevato livello di ansia e depressione, insieme a fattori come una peggiore qualità della vita e delle relazioni sociali, hanno portato a maggiore fame emotiva, mentre alti livelli di stress si sono risolti in episodi di abbuffate compulsive. Il nostro studio – continua la dott.ssa Marilena Aiello della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste – ha inoltre messo in evidenza un elemento di vulnerabilità che viene spesso ignorato: l’alessitimia, ossia la difficoltà di alcuni individui nell’identificare i propri sentimenti e nel distinguere tra sensazioni emotive e fisiche. Persone con alti livelli di alessitimia hanno mostrato maggiori probabilità di incorrere in episodi di fame emotiva. Infine è stato osservato che i comportamenti alimentari disfunzionali sono stati più frequenti durante la Fase 1 rispetto alla Fase 2, mostrando che introdurre alcune deroghe nelle regole di quarantena può aiutare le persone a reagire con un minore malessere emotivo”.

Sebbene le misure restrittive fossero necessarie a prevenire la diffusione della pandemia, le conclusioni tratte dallo studio pongono l’accento sulla necessità di misure sanitarie e nutrizionali per mitigare l’impatto degli effetti negativi di altri possibili lockdown.

“Questi effetti sono stati evidenziati su partecipanti sani, senza precedenti clinici di disturbi dell’alimentazione – conclude la dott.ssa Sofia Adelaide Osimo, Università di Losanna – Questo ci mostra che misure di contenimento quali il lockdown, per quanto necessarie per contenere l’epidemia, hanno degli effetti negativi sulla salute mentale e sul comportamento alimentare dei cittadini. Tra le misure di sostegno alla popolazione da offrire durante periodi di lockdown non è quindi prescindibile il supporto psicologico, facendo particolarmente attenzione a individui vulnerabili e alle manifestazioni alimentari del malessere psicologico”.

Fonte: askanews.it

Su Lancet studio Cardiologia Città della Salute con PoliTo e UniTo.
Pubblicato oggi sulla rivista “The Lancet” il risultato di una ricerca coordinata dalla Cardiologia universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino (diretta dal professor Gaetano Maria De Ferrari), assieme al Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino e a quello di Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino per la creazione di un nuovo sistema di classificazione del rischio di eventi futuri nei pazienti dopo un infarto. Una tecnica rivoluzionaria che ridurrà statisticamente la possibilità di una non corretta diagnosi.

Gli autori – spiega una nota – hanno utilizzato l’approccio dell’Intelligenza Artificiale chiamato Machine Learning o di apprendimento automatico, secondo il quale i computer imparano progressivamente dai dati che vengono loro forniti migliorando sempre più le loro capacità predittive ed individuando correlazioni. In questo caso, il risultato è stato la creazione di un nuovo sistema di classificazione del rischio di eventi futuri nei pazienti dopo un infarto.

“I pazienti con infarto miocardico acuto – spiega il dottor Fabrizio D’Ascenzo, coordinatore dello studio – sono ad altissimo rischio nei primi due anni sia di una recidiva di infarto sia di sanguinamenti maggiori legati ai farmaci che mantengono il sangue ‘più fluido’, come la cardioaspirina. La decisione sulla terapia migliore deve bilanciare questi due rischi, cosa che il cardiologo fa basandosi sulla propria esperienza e sul suo intuito clinico, aiutato da dei punteggi di rischio. Tuttavia questi punteggi sono poco precisi e pertanto di modesto aiuto anche per un cardiologo esperto. Abbiamo perciò cercato di migliorare la situazione utilizzando dati clinici riguardanti 23.000 pazienti, molti dei quali raccolti in Piemonte, che hanno fornito la massa critica di informazioni per la nostra ricerca”.

“Collaboriamo da anni con la Cardiologia universitaria delle Molinette, studiando le relazioni esistenti tra i flussi sanguigni e le patologie che interessano le arterie – dicono i professori Umberto Morbiducci e Marco Deriu del Gruppo di Biomeccanica Computazionale del Politecnico – e come bioingegneri siamo entusiasti di avere esteso la collaborazione a questo nuovo settore, estremamente promettente”. L’analisi dei dati con questa tecnica basata sull’Intelligenza Artificiale si differenzia nettamente dall’approccio usato finora, basato sull’analisi statistica tradizionale. In alcuni settori questa nuova tecnica determinerà una vera rivoluzione. “I dati – spiega Marco Aldinucci, docente di Informatica di UniTo – sono stati analizzati con algoritmi di Machine Learning che usano pertanto metodi matematico-computazionali per apprendere informazioni direttamente dai dati, senza il bisogno di conoscere nulla a priori sulle possibili relazioni tra i dati stessi”.

La differenza trovata tra l’approccio precedente basato sull’analisi statistica tradizionale e questo, basato sull’Intelligenza Artificiale, è stata davvero importante. Mentre la precisione dei migliori punteggi disponibili per identificare la possibilità di un evento come un nuovo infarto o un sanguinamento si aggira intorno al 70%, la precisione di questo nuovo punteggio di rischio si avvicina al 90%, riducendo statisticamente la possibilità di una non corretta diagnosi da tre a un solo paziente su dieci analizzati.

“Siamo entusiasti di questi risultati – afferma il professor Gaetano Maria De Ferrari – per tre motivi. Primo, possiamo ora curare meglio i nostri pazienti, aggiungendo alla nostra esperienza clinica delle stime davvero precise del rischio cui vanno incontro, confermando il ruolo centrale della Cardiologia universitaria di Torino nella ricerca volta a creare benefici per i pazienti. Secondo, lo studio è una dimostrazione fortissima delle possibilità dell’Intelligenza Artificiale in medicina e in cardiologia in particolare. Terzo, questo risultato ottenuto in collaborazione tra Università e Politecnico rafforza la scelta di Torino come sede dell’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale. In particolare, noi vorremmo candidarci ad un ruolo di riferimento italiano per l’intelligenza artificiale in medicina e questa pubblicazione può contribuire a legittimare questa aspirazione”.

Torino è stata scelta come sede principale dell’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale (3I4AI), che si occuperà dell’applicazione dell’intelligenza artificiale in vari settori, con attività di ricerca prevista anche in diverse sedi aggiuntive sul territorio nazionale. Sia l’Università che il Politecnico di Torino avranno un ruolo importante nell’Istituto.

“Con soddisfazione e con orgoglio accogliamo la notizia di questo successo straordinario che testimonia, ancora una volta, il valore della nostra ricerca – dichiara il Rettore dell’Università di Torino Stefano Geuna – L’attenzione della comunità scientifica mondiale a questo studio conferma l’Università di Torino come un’eccellenza della ricerca nazionale a livello internazionale. I gruppi di ricerca coinvolti, ai quali va il nostro più sentito ringraziamento, hanno dato prova di come si possano ottenere risultati straordinari condividendo obiettivi ambiziosi ed integrando saperi e competenze. La nuova frontiera scientifica che coniuga l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla diagnostica in medicina è in grado di migliorare come mai prima d’ora la cura di patologie importanti e, più in generale, la qualità di vita di tante persone colpite da patologie gravemente invalidanti. Per arrivare a questi risultati possiamo contare su una ricerca capace di integrare innovazione tecnologica e conoscenze altamente specialistiche. Gli Atenei torinesi ed il nostro sistema sanitario condividono ormai una provata esperienza in questa direzione. Questo fa di Torino la sede ideale per ospitare l’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale”.

“Questo progetto oggettiva ulteriormente la forte partnership tra Università ed Azienda ospedaliera, dove la ricerca e l’assistenza si integrano per assicurare percorsi innovativi sempre più tecnologici, con il fine comune di garantire ai pazienti la migliore cura”, sottolinea il Direttore generale della Città della Salute di Torino Giovanni La Valle.

“L’Intelligenza Artificiale rappresenta un tema chiave per la ricerca dei prossimi anni, sul quale il nostro Ateneo può vantare competenze riconosciute dalla comunità scientifica internazionale e ha ottenuto risultati di estrema rilevanza, quali ad esempio il coordinamento del Dottorato nazionale sull’Intelligenza Artificiale su IA e Industria 4.0 e la partecipazione del Politecnico al prestigioso Laboratorio Europeo sull’Intelligenza Artificiale dei dati ELLIS – commenta il Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco – L’eccellente risultato prodotto da questa ricerca condotta insieme a Università di Torino e Città della Salute dimostra ancora una volta la molteplicità e la trasversalità delle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale, che ormai spazia in tutti i settori di punta della nostra economia, dall’automotive alla manifattura, all’industria del lusso e molti altri ambiti, come appunto quello della salute, dove sta diventando sempre più essenziale. Questa ricerca è poi un esempio di collaborazione multidisciplinare tra enti, che dimostra ancora una volta che tutti i soggetti del territorio sono già pronti a lavorare insieme per fare dell’Istituto un grande polo di ricerca”.

Fonte: askanews.it

Fare il pieno di vitamine B, D, E. Occhio a caffeina e cibi spazzatura

Le scuole sono aperte a periodi intermittenti tra didattica a distanza e periodi di fermo, è fondamentale che i ragazzi introducano nuove abitudini per adattarsi al mutato stile di vita. Ad iniziare da una dieta sana, che può portare grandi benefici al corpo e alla mente. Con i consigli del Biologo Nutrizionista Lorenzo Traversetti cge ha stilato un decalogo proteggere il proprio organismo e renderlo più reattivo, per studiare e rendere meglio.“Non bisogna pensare che solo da adulti occorra curarsi del proprio corpo – spiega – . I giovani devono interessarsi all’argomento e mettere in atto i consigli alimentari che vengono loro dati”. E visto che sempre più spesso si trovano “a studiare e a seguire le lezioni di fronte ad uno schermo, seduti su una sedia, per ore ed ore ogni singola giornata. E’ necessario che si segua una certa linea alimentare per avere il massimo risultato nei propri studi: ci sono numerosi alimenti che possono dare quella spinta in più per terminare la giornata di studio”.Ad esempio, consumare alimenti che portano la stabilità del nostro sistema immunitario può aiutare a contrastare o alleviare i sintomi associati al Covid-19. “Anche se va ricordato sempre che il Covid-19, non è il solo ‘male di stagione’ – aggiunge Traversetti – il nostro organismo è in guerra continua contro moltissimi patogeni e il nostro primo strumento di difesa, è proprio il sistema immunitario. Dunque, mangiare correttamente, al pari di avere uno stile di vita sano, sono requisiti essenziali per supportare le nostre difese immunitarie” conclude l’esperto.Ma entriamo nello specifico e vediamo cosa devono mangiare gli studenti: “Vitamina C, presente maggiormente nella frutta e nella verdura, è un antiossidante in grado di contrastare i radicali liberi; Vitamine del gruppo B, presenti nei cereali integrali, nella frutta secca, nei legumi, nel pesce e nelle uova, con delle ottime capacità di miglioramento della memoria; in particolare la vitamina B3 contribuisce all’attivazione delle sirtuine e migliora l’efficienza mentale; Vitamina E, presente in mandorle, noci, nocciole e avocado, in grado di rallentare l’invecchiamento del cervello; Polifenoli, come la Polidatina presente nell’Uva Nera e nei mirtilli, Pterostilbene presente nel Melograno in grado di stimolare le naturali difese immunitarie e controbilanciare le tempeste citochiniche ingenerate da infezioni batteriche e virulente. Bisogna favorire carboidrati integrali e i grassi del pesce, i cosiddetti grassi buoni della serie Omega 3; È necessaria l’assunzione della giusta quantità di acqua poiché poca idratazione porta a ripercussioni negative sullo studio. Spesso, quando si studia, ci si dimentica di bere e la disidratazione si ripercuote anche in minore funzionalità cerebrale. La colazione deve essere sostanziosa per evitare la sonnolenza durante il resto della giornata. Guai a saltarla; rischieremmo di iniziare la giornata con un cervello in riserva di energia e ne risentirebbero la nostra concentrazione ed attenzione; Il magnesio allevia la stanchezza. Si può assumere sotto forma di alimenti come cacao amaro, formaggi stagionati, pollo e bresaola, ma è presente anche sotto forma di integratori; La caffeina è fondamentale per essere attivi durante la giornata, in alternativa anche il ginseng o il tè ma è importante non abusare di nessuna di queste sostanze. La stanchezza legata ad ore trascorse davanti al pc, può portare a cercare gratificazione nei cosiddetti ‘cibi spazzatura’. Si tratta di cibi dall’alto potere calorico ma dal bassissimo valore nutrizionale. In questo periodo della giornata, non è necessario mangiare di meno ma scegliere i giusti alimenti. Frutta fresca, frutta secca, yogurt magro, affettato magro (meglio ancora se abbinato a del pane integrale tostato), sono tutti ottimi alimenti per consumare uno spuntino sano ma anche utile a ‘ricaricare le batterie’ tra una lezione e l’altra”.“Ricordate sempre che il cervello funziona meglio se gli facciamo arrivare più ossigeno – conclude l’esperto -. Dunque, approfittiamo dell’intervallo tra una lezione e l’altra, per fare un giro per casa oppure dei piccoli esercizi di stretching. In questo modo, contribuiremo anche a rompere la sedentarietà, altro enorme nemico di questo periodo”.

Fonte: askanews.it