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Indagine SWG in occasione della Giornata Mondiale.
In occasione della Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla il 30 maggio, l’istituto di ricerca SWG ha condotto per Almirall – azienda farmaceutica internazionale impegnata in dermatologia e Sclerosi Multipla – una ricerca per capire quanto la malattia sia davvero conosciuta da parte degli italiani e quanti falsi miti siano ancora presenti sulla qualità di vita di chi ne è affetto. Dai risultati della ricerca, condotta su un campione di 800 persone rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana, emerge che quasi la totalità degli intervistati ha sentito parlare della malattia (98%), ma le persone che effettivamente ne mostrano una buona conoscenza è piuttosto ridotta. Solo il 53% del campione conosce infatti che si tratta di una malattia non ereditaria, mentre il 70% sa che attualmente non ci sono cure per questa malattia, nozione diffusa soprattutto tra i giovani. La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia autoimmune cronica che colpisce il sistema nervoso centrale e colpisce oggi oltre 2 milioni e mezzo di persone in tutto il mondo. Per questa malattia non vi è una cura, ma solo trattamenti che ne rallentano il decorso. Chiunque può sviluppare la SM, ma sono le donne che risultano essere più colpite, il doppio rispetto agli uomini, e la diagnosi arriva principalmente nella fascia d’età tra i 20 e 40 anni. Informazioni che la maggior parte della popolazione non conosce: solo il 14% ha infatti indicato le donne europee e nordamericane come target principale della malattia. Discrepanze tra la realtà e la conoscenza diffusa tra gli italiani si hanno anche sul tema della qualità di vita dei malati di Sclerosi Multipla. Il quadro che emerge è che solo una minoranza degli intervistati ritiene che una persona con Sclerosi Multipla possa fare attività lavorative, sportive o legate alla quotidianità. In particolare, il 75% ritiene che un malato di SM faccia difficoltà a svolgere le mansioni quotidiane, che debba assumere farmaci più volte al giorno (70%) e che dovrà sicuramente ricorrere all’uso della carrozzina a rotelle (67%). Dall’altra parte, solo il 31% ritiene che una persona affetta da SM possa svolgere la maggior parte dei lavori, che può guidare l’auto (possibile solo per il 38% degli intervistati) e che, se donna, può portare a termine una gravidanza (39%).
La malattia ha un decorso variabile e si presenta con caratteristiche che possono cambiare molto da una persona all’altra, ma non necessariamente portano allo sviluppo di una disabilità grave. Le donne, ad esempio, possono portare avanti una gravidanza e molti pazienti sono in grado di volgere le mansioni quotidiane e lavorare. Sono quindi importanti le terapie che le persone affette dalla malattia possono intraprendere, insieme al proprio medico, così da rallentarne la progressione e permettere di migliorare la propria qualità di vita. Dal sondaggio emerge come i sintomi siano noti al grande pubblico: difficoltà motoria e spasticità, ovvero la rigidità muscolare, sono infatti i due sintomi più comunemente ricondotti alla malattia, indicati rispettivamente dal 71% e dal 68% degli intervistati, mentre il dolore articolare è stato associato dal 52%.

Fonte: Askanews.it

Può consumo olio extravergine ridurre l'invecchiamento cognitivo?
Può il consumo dell’olio extravergine di oliva rallentare l’invecchiamento cognitivo? A questa domanda tenterà ora di dare risposta Giorgio D’Andrea, il ricercatore dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Roma, “adottato” per un anno da Monini attraverso il finanziamento completo della borsa di ricerca assegnata tramite bando pubblico da Fondazione Umberto Veronesi.
Il via ufficiale allo studio, con la cerimonia di consegna dei Grant 2021 di Fondazione Umberto Veronesi, è fissato per giovedì 25 marzo 18.30, quando 133 ricercatori, tra i quali D’Andrea, riceveranno simbolicamente altrettante borse di ricerca. L’evento rappresenta l’appuntamento clou dell’anno di Fondazione Umberto Veronesi, l’occasione per celebrare la ricerca scientifica in Italia.All’evento partecipano Paolo Veronesi Presidente di Fondazione Umberto Veronesi e Direttore Divisione Senologia Chirurgica IEO, Chiara Tonelli Presidente del Comitato Scientifico di Fondazione Umberto Veronesi e Professore Ordinario di Genetica presso l’Università degli Studi di Milano e Carlo Alberto Redi Presidente del Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi e Professore Ordinario di Zoologia e Biologia dello Sviluppo presso l’Università degli Studi di Pavia. Durante l’evento sono previsti momenti dedicati alle testimonianze di scienziati, istituzioni e di ex pazienti.Presente anche la famiglia Monini: “crediamo che la ricerca scientifica possa portare a un miglioramento della qualità della vita di tutti noi. Per questo – si legge in una nota – sosteniamo Fondazione Umberto Veronesi e siamo orgogliosi di partecipare a questa prestigiosissima cerimonia che apre un decennio di intenso lavoro e ci auguriamo di nuove prospettive per la collettività”. Il finanziamento della ricerca di D’Andrea – Idrossitirosolo: fenolo dell’olio d’oliva contro l’invecchiamento – rappresenta infatti il primo concreto tassello dell’impegno che l’azienda spoletina ha assunto a favore della ricerca scientifica e della promozione di un corretto stile di vita, pilastri del Piano di Sostenibilità 2020-2030 avviato lo scorso anno in occasione del suo Centenario. Nei prossimi 10 anni Monini sosterrà lo studio dei benefici dell’olio extravergine di oliva.
Fonte: Askanews.it

Riflessioni dopo il convegno di Motore Sanità e Diabete Italia.
Tra le fragilità che la pandemia ha messo in evidenza è emersa anche quella della presa in carico dei pazienti affetti da diabete da parte dei medici di medicina generale, attori importanti del processo di cura, ma, come è stato messo in evidenza in un convegno online organizzato da Motore Sanità e da Diabete Italia onlus, che si trovano ad avere “le armi spuntate”.
Ne abbiamo parlato con Stefano Nervo, presidente di Diabete Italia. “In linea di principio – ha detto ad askanews – il diabete di tipo 2 ben compensato, ossia che non presenta particolari difficoltà o complicanze può essere gestito dal medico di famiglia, altrimenti occorre andare dallo specialista. Il problema è che il medico di famiglia ha le armi spuntate. E queste armi spuntate sono tutti i farmaci che devono sottostare ai piani terapeutici; i piani terapeutici non possono essere redatti dai medici di famiglia, ma dagli specialisti. Questo comporta che il medico di famiglia può usare solo pochi farmaci”.In sostanza, per il medico di famiglia non è possibile prescrivere farmaci innovativi, e questo depotenzia le possibilità di cura, creando al tempo stesso una maggiore pressione sui centri specialistici. Altri temi importanti riguardano l’organizzazione della cura del diabete, spesso diversa a livello regionale, e la gestione continua del paziente. Su questi aspetti abbiamo interpellato Gerardo Medea, responsabile della Ricerca e componente della Giunta esecutiva della Società Italiana di Medicina Generale. “Una buona organizzazione – ci ha spiegato – sia dal punto di vista della struttura ambulatoriale, sia dal punto di vista della comunicazione con il paziente può aiutare molto a ben inquadrare il soggetto e a coinvolgerlo in un buon follow-up”.Perché la cura del diabete è qualcosa che va portata avanti ogni giorno, da parte del paziente stesso, affiancato dalla struttura sanitaria, che, hanno auspicato i partecipanti all’evento di Motore Sanità, dovrebbe essere il più possibile vicina e flessibile. “Chi vive con il diabete – ha aggiunto Stefano Nervo – vive con una parte della propria testa sempre fissata lì. Se lo fa con cognizione di causa vive bene, se non ha le armi per farlo in autonomia rischia di non vivere bene”.Le “armi spuntate”, poi, possono produrre anche altri effetti collaterali, come la perdita di competenze per il medico di famiglia. “E’ evidente – ha concluso Gerardo Medea – che se al medico di medicina generale non viene consentita la prescrizione di alcuni farmaci, peraltro importanti, territoriali, determinanti per il buon compenso e il controllo dei fattori di rischio, si perde un certo grado di competenza e di conoscenza” Insomma, come è stato detto nel convegno, spesso il medico di medicina generale di fronte alla cura dei pazienti diabetici somiglia a “un pugile che combatte con le mani legate”, una condizione che, per il bene di tutti, si chiede che venga al più presto sanata.

Fonte: Askanews.it