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Studio italiano su Clinical Cancer Research

Negli ultimi anni l’utilizzo di terapie basate sull’inibizione di molecole regolatrici di processi chiave del sistema immunitario (Immune Checkpoint) ha completamente cambiato il percorso terapeutico e la prognosi di pazienti affetti da cancro. In particolare, sono stati sviluppati anticorpi monoclonali capaci di legarsi in maniera specifica ad alcune cellule del sistema immunitario (in particolar modo ai linfociti T) e di bloccare l’interazione con le proteine presenti sulla superficie del tumore, permettendo una riattivazione e una amplificazione della risposta anti-tumorale.

L’introduzione di queste terapie (come l’immunoterapico anti-PD1), ha messo in evidenza quanto sia importante capire il livello del benessere del sistema immunitario dei pazienti che si sottopongono a tali trattamenti per predirne l’esito clinico.

Uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research e condotto dal Laboratorio di Immunologia dei tumori e terapie cellulari del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma, dall’Unità di Oncologia B e dal Dipartimento di Radiologia, oncologia e patologia del Policlinico Umberto I, in collaborazione con il Dipartimento di Oncologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli, ha dimostrato che la frequenza di un sottogruppo di cellule immunitarie, i linfociti CD137+, è in grado di definire i livelli di wellness del sistema immunitario del paziente oncologico e la sua capacità di rispondere all’immunoterapia.

Il gruppo di ricerca multidisciplinare, coordinato da Chiara Napoletano e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, ha dimostrato e validato che la frequenza dei linfociti T circolanti CD137+, analizzati prima dell’inizio del trattamento di immunoterapia, può essere considerato un marcatore di benessere del sistema immunitario, in grado di predire l’esito clinico della terapia, indipendentemente dal tipo di tumore e dal numero di terapie precedenti a cui il paziente oncologico è stato sottoposto.

“I pazienti con una elevata percentuale di linfociti T CD137+ nel sangue presentano una progressione libera da malattia e una sopravvivenza significativamente più alta rispetto ai pazienti che hanno in circolo livelli più bassi di queste cellule – spiega Chiara Napoletano – , inoltre, associando la frequenza di questi linfociti con altri due parametri clinici, quali il sesso e lo stato clinico obiettivo (performance status) è stato possibile definire il profilo del paziente oncologico che meglio beneficerà dell’immunoterapia anti-PD1 in termini di sopravvivenza”.

L’analisi di questa sottopopolazione linfocitaria permetterà di migliorare la selezione dei pazienti che si sottoporranno ai trattamenti immunologici e di predire l’esito clinico della terapia permettendo agli oncologi di effettuare la migliore scelta terapeutica per il paziente.


Fonte: askanews.it

Progetto MA.NU.AL

Una piattaforma online, interattiva e aggiornabile in tempo reale, dove sono censiti tutti i centri dedicati alla cura dei DCA, disturbi del comportamento alimentare. E’ questo il risultato raggiunto attraverso il progetto MA.NU.AL che il Ministero della Salute, nell’ambito delle Azioni Centrali del CCM, ha affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta del primo censimento in Italia dei servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale e dal 2022 coinvolgerà anche le strutture del privato accreditato. I dati saranno presentati domani 25 gennaio in occasione del webinar “La Mappatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”. Al 31 dicembre 2021 la mappatura conta 91 strutture su tutto il territorio nazionale: 48 centri al Nord (di cui 16 in Emilia Romagna), 14 al Centro Italia e 29 tra Sud e Isole. Sono 963 i professionisti che lavorano nei centri, tutti formati e aggiornati: soprattutto psicologi (24%), psichiatri o neuropsichiatri infantili (17%), infermieri (14%) e dietisti (11%). Sono inoltre presenti gli educatori professionali (8%), i medici di area internistica e pediatri (5%), i medici specialisti in nutrizione clinica e scienza dell’alimentazione (5%), i tecnici della riabilitazione psichiatrica (3%), gli assistenti sociali (2%) ed infine i fisioterapisti (1%) e gli operatori della riabilitazione motoria (1%). Il censimento in continua evoluzione consente anche di conoscere informazioni relative all’utenza assistita.

Risultano in carico al 65% dei Centri censiti oltre 8mila utenti. Poco meno di 3mila sono in carico da più di 5 anni e soltanto nell’ultimo anno di riferimento (2020) hanno effettuato una prima visita circa 4700 pazienti. L’utenza in carico è prevalentemente di genere femminile 90% rispetto al 10% di maschi. Il 59% degli utenti hanno tra i 13 e 25 anni di età, il 6% hanno meno di 12 anni.

Rispetto alle più frequenti diagnosi l’anoressia nervosa è rappresentata nel 42,3% dei casi, la bulimia nervosa nel 18,2% e il disturbo di binge eating nel 14,6%. Lo strumento diagnostico più utilizzato è il DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali): 87%. I percorsi offerti all’utenza vedono l’integrazione di diverse tipologie di intervento: psicoterapeutico (100%), psicoeducativo (99%), nutrizionale (99%), farmacoterapico (99%), di monitoraggio della condizione psichico-fisico-nutrizionale (99%) e di abilitazione o riabilitazione fisica e sociale (62%). Gli interventi psicoterapeutici comprendono approcci individuali (98%), familiari (78%) e di gruppo (66%), spesso co-presenti. L’accesso presso i servizi avviene solitamente in modalità diretta, su richiesta del paziente (83%). Le prestazioni vengono generalmente erogate dietro pagamento del ticket sanitario (78%) ma possono essere fornite anche gratuitamente (29%) o essere erogate in regime di intramoenia (9%). Quasi tutti i Servizi censiti rilevano l’esordio della patologia (98%), il tempo trascorso tra l’esordio e la presa in carico del paziente (97%) ed eventuali trattamenti pregressi (98%). I Centri censiti propongono percorsi terapeutici multimodali, i livelli di assistenza sono a carattere prevalentemente ambulatoriale di tipo specialistico (92%) ma anche intensivi ambulatoriali o semiresidenziali (62%), mentre la riabilitazione intensiva residenziale è offerta nel 17% delle strutture.


Fonte: askanews.it

Per S.Raffaele difende cellule tumorali dal sistema immunitario

Le cellule tumorali aumentano la sintesi degli zuccheri, che una volta esposti in superficie creano uno scudo capace di ostacolare il lavoro del sistema immunitario. È la conclusione di uno studio del San Raffaele, pubblicato oggi su Science Translational Medicine, secondo il quale la formazione dello scudo zuccherino potrebbe spiegare, almeno in parte, la ridotta efficacia nei tumori solidi delle terapie Car-t, che faticano a riconoscere le cellule tumorali e ad attivare una risposta efficace. I ricercatori hanno anche descritto un modo per bloccare la formazione dello scudo, sfruttando una molecola già sperimentata nei pazienti per altre indicazioni, e hanno così ottenuto un aumento di efficacia della terapia Car-t in diversi modelli animali. Questi risultati aprono la strada alle sperimentazioni cliniche dell’approccio in molteplici tumori solidi.
Lo studio è stato coordinato da Monica Casucci, responsabile dell’Unità Immunoterapie Innovative dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, ed è stato condotto da Beatrice Greco durante il suo percorso di dottorato, da poco concluso presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. La ricerca è stata possibile grazie a fondi ottenuti dal Ministero della Salute e coordinati da Alleanza Contro il Cancro, da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e dal progetto europeo Horizon2020 Eure-cart.

Le cellule tumorali sono spesso caratterizzate da un’attivazione anomala e disfunzionale di meccanismi che si possono trovare – opportunamente regolati – anche nelle cellule sane. Tra questi c’è la cosiddetta glicosilazione, che consiste nell’aggiunta di catene di zuccheri alla struttura delle proteine. Queste catene influenzano la funzione delle proteine e la loro capacità di interazione con altre molecole. La maggior parte dei tumori altera la regolazione del processo di glicosilazione a proprio vantaggio, modificando così la composizione dello strato zuccherino che ricopre le cellule cancerose. Le conseguenze di questa alterazione sono molteplici, ma finora pochissimo si sapeva dei suoi effetti sull’efficacia delle terapie Car-t, specialmente nei tumori solidi.
“L’aspetto più rilevante della scoperta è che la glicosilazione delle cellule tumorali ostacola l’azione dei linfociti Car-t attraverso diversi meccanismi attivi contemporaneamente” ha scritto in una nota Beatrice Greco, prima autrice dell’articolo. “Questa è anche un’ottima notizia: significa che ridurre la formazione di questa barriera, bloccando il processo di glicosilazione, può indebolire il tumore su più livelli” ha osservato.


Fonte: askanews.it