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Focus a Napoli al XXVI congresso mondiale Ifso

“In Italia il 10% della popolazione, vale a dire 6 milioni di persone, soffre di obesità. Di queste il 10% (600 mila persone) ha un’indicazione al trattamento chirurgico secondo le più recenti linee guida Italiane ed Internazionali, ma nel nostro Paese annualmente si eseguono non più di 20-30.000 interventi di chirurgia bariatrica; questo fa capire quanta differenza ci sia tra la potenziale domanda e l’offerta e quanto sia grande il desiderio di recupero della propria salute da parte dei potenziali pazienti”. Così Mario Musella, presidente del congresso Sicob (Società Italiana Chirurgia Obesità e professore ordinario di chirurgia generale all’Università Federico II di Napoli, intervenendo al XXVI congresso mondiale di chirurgia dell’obesità dell’International Federation for the Surgery of Obesity and Metabolic Disorders in corso nel capoluogo partenopeo. “Al Congresso – ha sottolineato ancora Musella – vi è stata una interazione totale tra psichiatri, nutrizionisti, endoscopisti, internisti, endocrinologi e chirurghi, vale a dire gli specialisti che prendono in carico il paziente”.

“Questo congresso che focalizza la sua attenzione sull’obesità è molto importante non solo per il tema trattato ma anche per la sua valenza internazionale – prosegue Maria Triassi, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli -. Ormai l’obesità è una malattia sociale ed è una delle emergenze cronico degenerative del nostro tempo ed è quindi importantissimo che una Scuola di medicina se ne occupi e testimoni delle eccellenze sia in ambio formativo che scientifico”.

“La dimostrazione di questo sono i numeri da record – aggiunge il presidente del Congresso, Luigi Angrisani, professore associato in Chirurgia Generale del Dipartimento di Sanità Pubblica all’Università Federico II di Napoli – con oltre 3 mila iscritti, rappresentanti di 153 paesi del mondo, che hanno seguito un programma scientifico molto impegnativo, con la prima vera discussione sulle nuove linee guida per la chirurgia bariatrica. Inoltre vi è stato un grande confronto sulle procedure e tecniche chirurgiche più recenti, oltre che di approfondimento sui vantaggi della chirurgia robotica, oggi sottoutilizzata nella chirurgia bariatrica, ma che in futuro potrebbe rivoluzionare il lavoro del chirurgo in sala operatoria e il recupero dei pazienti. Tutto questo all’insegna della multisciplinarietà: oltre ai chirurghi, all’evento parteciperanno anesteissti, internisti, gastroenterologi, endoscopisti, psichiatri, psicologi, nutrizionisti, cardiologi, pneumologi, endocrinologi e diabetologi”.

“L’obesità ha tra le sue complicanze in prima battuta le problematiche cardiovascolari – aggiunge Pasquale Perrone Filardi, presidente Società Italiana di Cardiologia (Sic) -. Quindi purtroppo non solo lo scompenso cardiaco, ma anche il rischio di ictus e infarto. Oggi sappiamo con certezza che curare l’obesità con le nuove terapie farmacologiche e con la chirurgia bariatrica significa ridurre le complicanze al cuore e anche quelle oncologiche. Questi interventi, se effettuati secondo i parametri previsti dalle linee guida, riducono moltissimo le conseguenze dell’obesità”.

“Come Scuola di Medicina dell’Università Federico II – conclude la prof.ssa Triassi – diamo atto ai professori Musella e Angrisani del lavoro eccellente svolto e siamo lieti che un appuntamento così rilevante si svolga a Napoli dando così lustro alla medicina napoletana e alla nostra Scuola che ha così l’opportunità di mettere in evidenza le proprie eccellenze impegnate sul fronte della diagnosi, della ricerca e della cura dell’obesità”.


Fonte: askanews.it

Federazione medici internisti: compromessa qualità assistenza in 56% reparti

È tempo di vacanze anche per i medici, che negli ospedali d’Italia d’estate si rimboccano le maniche per non lasciare senza assistenza i pazienti, aumentando il volume di lavoro in quasi la metà dei casi per sopperire a carenze di organico che tra giugno e settembre diventano insostenibili, visto che circa un terzo di loro va in ferie. Così molti fanno gli extra per coprire i turni di notte e il 56,8% salta i riposi settimanali. Nonostante l’impegno però le attività ambulatoriali diminuiscono nel 52,7% dei casi e chiudono del tutto nel 15,1% degli ospedali, mentre complessivamente la qualità dell’assistenza sanitaria, richiesta anche d’estate, è compromessa nel 56% dei casi in modo sensibile.

A fornire il quadro degli ospedali italiani nel periodo estivo, quando le ferie rendono insostenibili i vuoti in pianta organica, è la survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi) in ben 206 Unità operative ospedaliere di medicina interna sparse in tutte le regioni italiane. Una situazione che rispecchia quello che avviene anche in larga parte dei dipartimenti di altre specialità mediche. Anche se, come specifica il Presidente Fadoi, Francesco Dentali, “nelle medicine interne le carenze di organico che vanno ad accentuarsi nel periodo di riposo estivo vanno a rendere più critico il quadro per via del fatto che i nostri reparti sono ancora erroneamente classificati come a ‘bassa intensità di cura’, il che non riflette in alcun modo la complessità dei pazienti anziani e con pluri-morbilità che abitualmente trattiamo nelle nostre Unità operative, che da sole assorbono un quinto di tutti i ricoveri ospedalieri. E questa anacronistica classificazione delle medicine interne implica già di per se una minor dotazione di tecnologie, medici e infermieri per posto letto, che diventa esplosiva nel periodo estivo, quando anche il nostro personale usufruisce del meritato riposo”.

Cosa che tra giugno e settembre, secondo l’indagine Fadoi, avviene per oltre il 91% dei medici che usufruiscono dei 15 giorni di vacanze nel periodo estivo, come garantito dal contratto nazionale di lavoro. Questo comporta una riduzione degli organici in reparto che varia tra il 21 e il 30% nel 48% dei casi, tra il 30 e il 50% nel 19,4% dei reparti, mentre la carenza è tra l’11 e il 20% in un altro 21,8% dei casi.

Per chi resta il volume di lavoro aumenta nel 42,7% dei casi e ciò incide “abbastanza” sull’assistenza offerta ai cittadini nel 51% dei nosocomi, “molto” in un altro 15,5%, “poco” nel 21,2% dei reparti, “per nulla” soltanto nel 6,3%.

A risentirne nello specifico sono poi le attività ambulatoriali, che diminuiscono nel 52,7% dei casi e chiudono del tutto in un altro 15,1% degli ospedali. Il 14,1% garantisce invece l’invarianza nel numero e nei tempi delle attività negli ambulatori, che sono rimodulate nei tempi ma invariate nel numero di prestazioni in un altro 18% di casi.

Se pur riducendo le attività d’estate gli ospedali non chiudono per ferie lo si deve ai sacrifici sostenuti dai medici per coprire la carenza di personale già di per se cronica. Ecco così che il 56,8% tra giugno e settembre vede qua e là saltare i riposi settimanali che pure dovrebbero essere sempre garantiti. Nello stesso arco temporale il 44,7% dei medici è obbligato a coprire i turni notturni con attività aggiuntive, mentre il 28% è chiamato a garantire anche i turni in pronto soccorso (il 4,4% solo nel periodo estivo), con un numero di ore compreso tra le 12 e le 60 a settimana nel 56,1% degli ospedali, mentre nel 10,5% dei casi le ore trascorse nei Ps è addirittura superiore a 90.

“E questo – denuncia a sua volta il Presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto – va a tutto discapito dell’attività delle medicine interne, che già dotate di un minor numero di professionisti sanitari in rapporto alla complessità dei pazienti trattati, finiscono così per perdere ulteriori quote di personale, che anziché essere presente in reparto è dato ‘in prestito’ ai pronto soccorso”.


Fonte: askanews.it

Iniziativa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Almaviva

Un’ora al giorno prima dei 6 anni e poi al massimo due durante la scuola, ma niente smartphone e tablet prima dei 18 mesi. E mai a tavola, durante i pasti, o prima di andare a dormire. Sono alcuni dei consigli contenuti in un decalogo per la salute digitale di bambini e ragazzi elaborato dagli specialisti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nell’ambito del progetto “A scuola di… digitale”, realizzato in collaborazione con Almaviva, gruppo italiano leader nell’innovazione digitale. L’obiettivo: promuovere una migliore consapevolezza e comprensione delle possibilità offerte dagli strumenti digitali e contribuire a ridurre i rischi che possono derivare da un uso eccessivo e senza filtri.

Il progetto, promosso dall’Istituto per la Salute del Bambino e dell’Adolescente con Almaviva, prevede una serie di video educazionali disponibili online, che spiegano come gestire con equilibrio tablet e smartphone nelle diverse fasi della vita dei minori, quale supporto possono rappresentare per i ragazzi con disturbo dell’apprendimento, quali possibili conseguenze sulla vista da una esposizione prolungata agli schermi dei device, ma anche come funzionano i canali social seguiti dai giovanissimi, cosa sono il metaverso e l’intelligenza artificiale.

“La salute e il benessere dei bambini – afferma Alberto Villani, responsabile di Pediatria Generale e direttore dell’Istituto per la Salute del Bambino Gesù – sono concetti multidimensionali, che includono aspetti fisici, psicologici e sociali. In un’epoca in cui smartphone e tablet hanno assunto un ruolo sempre più centrale nella vita di genitori e figli, diventa fondamentale promuovere un consumo digitale consapevole e responsabile per preservare la salute e il benessere di bambini e dei ragazzi. È molto importante parlare di questi temi, a maggior ragione in estate, periodo in cui giovani e giovanissimi hanno tanto tempo libero, per fornire ai genitori strumenti necessari per sviluppare una consapevolezza e gestire nel modo migliore possibile la relazione dei più piccoli con i dispositivi digitali”.

“Il digitale – sostiene Michele Svidercoschi, direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali di Almaviva – è strumento prezioso di inclusione e formazione, semplifica la vita delle persone e apre importanti opportunità, dal campo dell’istruzione a quello della telemedicina e della salute. La collaborazione con il Bambino Gesù si propone di ampliare gli strumenti di conoscenza a disposizione dei più giovani e delle loro famiglie, per contribuire alla crescita di una consapevole cultura digitale”.

Ecco il decalogo:

1. Niente schermi sotto i 18 mesi – Per i bambini al di sotto dei diciotto mesi di vita, è importante evitare gli schermi e incoraggiare esperienze di apprendimento che coinvolgano i sensi, come il gioco fisico e l’esplorazione del mondo reale.
2. Un’ora al giorno di scoperta digitale – Tra i due e i sei anni, concediamo ai bambini un’ora al giorno (preferibilmente frazionata in 2 o più periodi di 20-30 minuti l’uno) per esplorare in modo creativo ed educativo le risorse digitali, come app e contenuti adatti alla loro età.
3. Limitare, ma non vietare – Durante l’età scolare, stabiliamo un limite massimo di due ore al giorno per l’uso dei dispositivi digitali, in modo da bilanciare il tempo trascorso online con altre attività, come lo sport, la lettura o lo studio.
4. Una buona notte di sonno – Scoraggiamo l’uso dei dispositivi digitali un’ora prima di andare a letto, per garantire un riposo sereno e di qualità per i bambini.
5. Lo smartphone non è un calmante – Insegniamo ai bambini strategie alternative per gestire le emozioni, come il gioco all’aperto, la lettura o il disegno, anziché ricorrere sempre ai dispositivi digitali.
6. Momenti preziosi in famiglia – Dedichiamo i pasti e i momenti trascorsi in famiglia a conversazioni e attività condivise, evitando l’uso di smartphone e tablet.
7. La gestione del tempo digitale – Utilizziamo le funzioni di gestione del tempo fornite dai produttori di smartphone per aiutare i ragazzi a comprendere e regolare il tempo trascorso sui dispositivi, promuovendo una consapevolezza dell’uso.
8. Educare alla sicurezza online – I genitori sono i principali modelli per i loro figli: facciamo attenzione ai dati e ai contenuti che condividiamo online, mostrando responsabilità e rispetto per la privacy.
9. Protetti online – Insegniamo l’importanza di utilizzare password sicure e di proteggere la loro privacy, ad esempio impostando i profili social in modalità privata e valutando attentamente chi li segue online.
10. Una comunicazione aperta e consapevole – Manteniamo un dialogo costruttivo con i nostri figli, a partire da uno sforzo di conoscenza del mondo digitale. Educhiamo a un uso critico e responsabile dei dispositivi.


Fonte: askanews.it